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Analfabetismo funzionale: breve guida per entrare nel panico.
Tre giorni fa ho letto un articolo su La Stampa di Mimmo Candito riguardo l’analfabetismo funzionale in Italia: il 70% degli italiani, in pratica, non capisce quello che legge.
Il dato è drammatico al limite della credibilità e soprattutto, di gran lunga superiore al famoso 47% di analfabeti funzionali risalente al decennio 1994-2003 e sempre del 47% tra il 2003 e il 2009 di cui avevo memoria.
Così, complice anche il fatto che @foxholesweetfoxhole mi chiedeva la fonte di tale dato, mi sono messo a cercare quella ufficiale, non l’articolo su La Stampa. Ovviamente sono andato sul sito ISTAT ma non ho trovato nulla e poi mi sono chiesto: l’ISTAT come fa a calcolare l’analfabetismo funzionale? Dico, quello scolastico è facile, conti quelli senza un titolo di studio o lo chiedi “sai leggere e/o scrivere?”, ma quello funzionale?
Per anni mi sono ciucciato il dato degli analfabeti funzionali ma senza mai chiedermi come si calcolasse.
Così ho fatto un 2 giorni di ricerca ed ho scoperto come è stato calcolato l’analfabetismo funzionale. Ci sono 3 grosse organizzazioni che hanno fatto questo tipo d’indagine. La ALL (Adult Literacy and Lifeskills) e che fa parte del NCES (National Center for Education Statistics) made in USA. La IALS (International Adult Literacy Survey), canadese e poi la PIAAC, ovvero la OECD (The Organisation for Economic Co-operation and Development)’s Programme for the International Assessment of Adult Competencies e che è un po’ la sintesi delle prime due, nel senso che ha migliorato i parametri usati in precedenza.
Qua trovate il report della PIACC dove appunto c’è il dato del 70%, ma come funziona?
Si fa un test, si ottiene un punteggio e si estrapola il livello di comprensione.
Intanto definiscono il limite dell’analfabetismo funzionale perché leggere e non comprendere un testo è vago! Lo scopo, dei test, è, cito, “giungere ad una stima della porzione di popolazione in possesso di un livello di competenze in grado di portare a termine con successo attività della vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni sociali, nell’organizzazione della vita personale e familiare, ecc.”
Il punteggio va da 0 a 500 e si divide in
below level 1 (0 -175)
livello 1 (176 - 225)
livello 2 (226 - 275)
livello 3 (276 - 325)
livello 4 (326 - 375)
livello 5 (376 - 500)La soglia minima per, cito, “un positivo inserimento nelle dinamiche sociali, economiche e occupazionali” è il livello 3.
Ora, il punteggio dell’Italia, nella media, è di circa 250 (qui e qua)
Il grafico
E che un parole povere si traduce in un 80% di persone che non entrano nel livello 3.
I dati sono riferiti al 2013.
Dramma. L’80% degli italiani non capisce nulla di quello che legge, di tabelle, di grafici, di questo post e via dicendo, ma il punto che a me, invece, salta all’occhio, è che, esclusi Giappone, Finlandia, Olanda, Australia, Svezia, Norvegia e al bordo Estonia, tutti quanti gli altri sono sotto la soglia minima del livello 3, quello che dovrebbe garantire un minimo di alfabetismo funzionale. L’Italia è ultima, ma nel dettaglio si scopre che in Germania il 51% non arriva al livello 3. In Francia sono il 57%, in Spagna il 67% e in media OCSE/PIAAC il 48%.
Questo significa che tra i Paesi sviluppati, uno su due non capisce un cazzo di quello che legge, non sa fare operazioni matematiche semplici o estrapolare dei dati da un grafico, comprendere una tabella, riempire un formulario.
In pratica non va oltre il pollicione su Facebook.
L’ultima schermata, ma è un dato vecchio risalente al quinquennio 2003-2008, ci dà una speranza nel futuro a livello Mondiale, a meno che non viviate in Messico o in Italia.
La fascia d’età 15-40, nella media OCSE o almeno tra Canada, Svizzera, Norvegia, Bermuda, USA ecc., è sopra la media internazionale ed entra largamente nel livello 3.
In Italia e Messico, invece (le due linee sotto sotto a tutte), manco i ragazzi che vanno a scuola superano il livello 2 dei test.
Poi certo, possiamo discutere sulla bontà e l’efficacia di tali test, ma i dati ci mostrano un apocalisse prossima ventura.
appunti _241 (temporaneo)
Temporaneo. Come un istante diverso da un altro, come una persona nella storia di un’altra, come un cartello, un muro, un sentimento, un oggetto. Temporaneo come lo è la nostra vita senza accorgercene, perchè il tempo si basa sulla durata dell’intelletto, dalla nascita alla morte, l’unica unità di misura che conosciamo, che quindi possiamo definire come infinita. Un infinito finito, che non accettiamo finisca, non affrontando la morte, il dolore, la discontinuità tra i mondi reali e immaginari. Temporaneo come il mio posto adesso, il posto che è stato, il posto che sarà. Temporaneo come un posto in cui non sono. E temporanea è la mia casa, l’ingresso buio in cui sistemo la mia borsa e il mio zaino senza sentire la necessità di spostarle nella mia stanza, temporaneo è lo specchio in cui mi vedo e le finestre che spalanco. Temporaneo è l’affetto che provo nei confronti degli spazi, temporanea è la nostalgia che proverò quando me ne sarò andata e temporaneo sarà il ragionamento doloroso che non lascia spazio ad altri ragionamenti temporanei. Mi accorgo di come sia crudele il nostro modo di affezionarci ai luoghi mentre ce ne stiamo per andare, o il modo in cui riusciamo a dimenticarci di quanto sia difficile cambiare molto delle nostre vite: un puntino nero in uno spazio bianco che possiamo smettere di guardare solo se la direzione del nostro sguardo smette di essere composta e inizia ad essere quello che viene definito sbagliato, strano, diverso, ma comunque modificabile. Una sedentarietà che non esiste, che abbiamo fatto esistere, come il cuore stilizzato, l’amore eterno, il grattacielo, la sedia.
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